I pregi del classicismo

Non sono un amante dei santini, nè delle statue con gli occhi di vetro che affollano le nostre parrocchiali. Sacri Cuori e Madonne dalle 7 spade, Sante Rite e Padri Pii hanno sempre rappresentato l’emblema di una religiosità devozionistica, un po’ bigotta, sorpassata. Forse questo è l’unico aspetto che mi accomuna al progressismo cattolico.

Ritengo, tuttavia, che da ogni cosa ci sia da imparare, anche da quelle più lontane dalla nostra sensibilità.

Bisogna anche fare distinzioni: ci sono opere pregevolissime che vanno apprezzate per fattura e intensità, ben diverse dalla paccottiglia seriale venduta oggi. Ne è un esempio la cartapesta leccese dell’800. Eppure è questa l’arte che ha dato origine al sempre deprecabile kitsch.

Il classicismo nell’arte sacra ha come precursore il clima della Controriforma, teso a dare ordine e disciplina ad un’arte che, nel rinascimento maturo e nel manierismo, era stata attratta da uno spirito paganeggiante e intellettualistico. DOCERE, DELECTARE, MOVERE erano le parole d’ordine che regolavano la produzione artistica. Composizioni semplici, aderenti all’iconografia tradizionale e alla Scrittura, comprensibilità, decoro, dignità, monumentalità sono alcune delle caratteristiche che contraddistinguono l’arte della fine del ‘500. I modelli stilistici di riferimento furono presi dal passato recente: Michelangelo e soprattutto Raffaello. Il vento del barocco non riuscì a scuotere il classicismo temperato di quest’arte che troverà nuovo impulso nell’Accademia del XIX sec. Non i grandi nomi del ‘600 trovarono seguito, ma il Pulzone e il Cavalier d’Arpino avranno eredi nel Sassoferrato e nel Batoni, quindi nel Minardi e in Fontana.  Col passare del tempo la forza del messaggio cristiano andò diluendosi, edulcorandosi fino a perdere nerbo, diventando un distillato di pietismo intimistico, nutrito da Madonne compunte, occhi languidi e Cristi efebici, in sintonia con il tipo di religiosità allora in voga. A tale corrente andarono contrapponendosi vari gruppi, come i Nazareni o i Preraffaelliti, che non a caso si rifacevano a correnti precedenti il rinascimento, non senza la spinta del neo-gotico architettonico. Credo che questo sia stato il canto del cigno dell’arte sacra cristiana.  La decorazione delle cappelle rinnovate nella basilica di Loreto testimoniano del tentativo di dare nuovo vigore e dignità all’arte sacra, aggiornandola alle nuove tendenze artistiche. Eppure, nonostante i buoni sforzi, i due stili, classico e neomedievale,  finiranno per mescolarsi e ibridarsi, facendo scadere l’autenticità dell’ispirazione nel revival. Tutto ciò sarà in auge fino all’inizio del ‘900. Il Liberty, il Deco, l’eclettismo daranno ancora qualche frutto negli anni ’30 e ’40, ma fu una stagione troppo breve perchè lasciasse un seguito. I rivolgimenti della guerra, i mutamenti socio-politici, ed infine il post-Concilio daranno un colpo di spugna a tutto ciò. Non trovando tuttavia alternative valide riecco apparire le STATUE con gli occhi di vetro, quasi relitti ormai decontestualizzati in chiese di foggia minimalista. Molto triste vedere a quanto poco si sia ridotta la grande varietà di soggetti dell’iconografia cristiana….

Cosa, dunque, è importante sottolineare che sia valido anche ora per chi pratichi l’arte sacra? Tre  sono gli aspetti che credo siano rilevanti:

-il decoro

-il rapporto personale fra immagine e fedele

-l’arte come servizio.

I) Per quanto deboli possano essere i risultati dell’arte classicista, essi sono il frutto di una concezione del decoro ecclesiastico del tutto in linea con i secoli precedenti, fin dalla nascita di un’arte ufficiale della Chiesa. Sculture e pale d’altare non sono elementi isolati, ma si intergano in una complessità decorativa armoniosa, che dà il “tono” all’ambiente, stimolando la preghiera. Anche la piccola cappella ottocentesca, con tre altari e quattro panche, riesce a comunicare un clima di devozione. Pareti decorate con semplici motivi decorativi, il soffitto a stelle, l’altare in finto marmo…basta poco per dare dignità e bellezza a quella che è sempre la casa di Dio, pertanto meritevole di cura, attenzione e rispetto. La differenza con l’odierna architettura (oltre al razionalismo, al deliberato abbandono di ogni canone tradizionale) è l’autonomia di una struttura refrattaria a ogni intervento su di essa, in cui ogni istallazione, ogni decorazione risulterebbe disarmonica e inopportuna. L’essenzialità delle linee e delle superfici esclude la possibilità di creare  rappresentazioni teofaniche o evangeliche che facciano corpo con l’edificio, cosicchè anche le rare immagini (classiche o moderne) che vi vengono collocate risultano aliene al contesto.

II) Dietro candelieri di un altare, sopra unba colonna o fra le pagine di un libro, le immagini classiche hanno l’ indubbio merito di avvicinare emotivamente il fedele. In parte per un’enfatizzata espressione dei sentimenti, ma soprattutto per il realismo con cui viene rappresentato un mondo idealizzato, umanamente aggraziato, eppure familiare, tangibile.  Il divino si manifesta in putti paffuti e riccioluti, nuvole vaporose e improbabili fasci di luce. Il passo verso un “iperrealismo sacro” è breve. Il legame che si instaura fra l’immagine e il fedele è immediato e forte. La concretezza fisica delle immagini materializza aspettative, catalizza preghiere, crea un punto di riferimento concreto e si presta ad azioni cultuali pubbliche. Esse sostengono la preghiera quasi incarnadola. Si può dire altrettanto delle immagini contemporanee? L’intellettualismo che le sostanzia le rende refrattarie alla preghiera, incapaci di creare un legame pieno con i fedeli che, giustamente, continuano a preferire forme semplici e comprensibili.

III) E’ notevole constatare come l’aspetto devozionale prevalga ampiamente su quello artistico. In un dipinto o scultura del Sacro Cuore non si rimane affascinati dalla perizia tecnica, dalla bravura, dalla verosimiglianza. Tutto ciò è dato per scontato, passa in secondo piano proprio per far spazio al diretto rapporto fra Gesù, o il santo, e il fedele. Quasi non si riesce a vedere opere siffatte con un occhio puramente estetico, tanto è il legame che esse hanno, nell’immaginario collettivo, con la loro funzione. Si tratta di una caratteristica importantissima, poichè siamo di fronte a un’arte che non rinvia al suo autore, ma in cui l’esecutore sparisce di fronte ai canoni in vigore e alla destinazione dell’opera. Nessun arbitrio soggettivo, nessuna rivendicazione di originalità a tutti i costi. Un’estetica modellata intorno alla fede, seppur teologicamente e spiritualmente debole. Inutile il raffronto col la provocatorietà scioccante delle odierne realizzazioni, in cui è evidente il protagonismo degli artisti e la vacuità dell’ispirazione.

Non credo si possa prescindere dai tre fattori sovra esposti se si vuo sperare di far risorgere l’arte sacra cristiana. Bisogna far tesoro di tali caratteristiche, rinvigorendole con una base teologica e spirituale solida, che determini non solo i contenuti dell’opera, ma anche l’estetica. La decorazione degli edifici sacri non è un vezzo superfluo, un’aggiunta all’edificio, ma dovrebbe farne parte integrante, illustrando con le immagini il simbolismo della struttura, facendola parlare delle Realtà divine. Al contempo non è concepibile pensare di esporre immagini criptiche, incomprensibili, concettuali. La profondità del messaggio non dev’essere confusa con l’astrusità da rebus. L’artista deve sapere di mettersi al servizio della comunità, realizzando opere in cui chiunque possa incontrare Cristo.