Le icone nel XXI secolo.

“La moda occidentale delle icone russe, cui tutti o quasi soccombiamo, è sintomatica. Essa si accompagna alla decadenza teologica nei singoli e nelle comunità che se ne adornano. Si pretende di compensare la iconofobia riservata all’universo del visibile cattolico (vedi l’eliminazione delle immagini devozionali e la quasi riduzione a museo della grande arte nelle chiese) con l´emozione ´pura´ del sacro iconico. Ma questa è un´emozione tutta novecentista, assolutamente distante dalla teologia sacramentale e dalla ´religio´ delle icone nel mondo ortodosso, che semmai è molto più vicino alla nostra devozione realistica per statue e immagini mariane o del Sacro Cuore o dei santi. Dico novecentista perché il contrapporre l’icona greca o russa all’arte sacra rinascimentale italiana è un frutto tipicamente occidentale dell´ostilità primitivista e antirinascimentale delle avanguardie, oltre che di un uso polemico delle teorie burkhardtiane sul carattere anticristiano della modernità.”

Questo interessante passo di un più ampio articolo che Pietro de Marco dedica all’iconoclastia contemporanea solleva una questione ancora poco discussa e del tutto legittima riguardo la situazione dell’attuale arte sacra cattolica.

La diffusione dell’icona, oggi, sta assumendo una forma che travalica la moda passeggera. Sono molti gli amatori e i pittori che vi si dedicano, molte anche le scuole e i corsi che ne insegnano la tecnica e i principi, i cui insegnanti non sono più soltanto greci o russi, ma italiani ormai esperti nell’iconografia. Si tratta solo di esterofilia? In effetti nell’immaginario collettivo l’icona evoca subito la Russia e l’ortodossia. Essa appare pertanto come un oggetto esotico ed estraneo al mondo cattolico e occidentale. Come mai allora un tale sviluppo? La cosa stupisce ancor più considerando che si tratta di un movimento “dal basso”. Non la gerarchia ne ha imposto il modello, verosimilmente preoccupata a inseguire i deliri del post-moderno, e nemmeno l’elite culturale, semmai più interessata al collezionismo antiquariale. Si tratta soprattutto di persone comuni e artisti che si sentono attratti da questa forma d’arte, la quale sta gradualmente diffondendosi anche in ambito liturgico.

Bisogna anche dire che non tutte le icone sono uguali: talvolta mancano di qualità artistiche, come risultato di un lavoro dilettantistico, spesso sono frutto di una produzione in serie che ne svilisce il valore. L’icona è una specializzazione, una via privilegiata dell’arte, sebbene anche coloro che ne fanno un pio esercizio, pur non avendo attitudini alla pittura, contribuiscono a educare il gusto collettivo, facendone conoscere tecnica e canoni.

Cercando una spiegazione del fenomeno, è opportuno chiedersi altresì: quali sono le alternative percorribili? L’arte pietistica e classicista, che al momento trova unica espressione in Sacri Cuori e Padri Pii? Oppure le performances criptico astratte della trans-avanguardia? La prima è ormai cosa passata, proposta solo per accattivare la devozione degli anziani, ma poco amate dalle nuove generazioni che le ritengono kitsch. La seconda è aborrita da chiunque abbia un minimo di buon senso circa il decoro ecclesiastico, ammesso che un’arte davvero sacra possa nascere da un’ispirazione individualista, spesso lontana dalla fede cristiana.

In tale panorama si fa strada l’icona, che attrae per il fascino della sua bellezza arcana e indefinibile, che rimanda ad altro da sé. In essa non mancano immediatezza e riconoscibilità, creando un rapporto diretto con il fedele. All’apparenza risulta semplice, addirittura ingenua, ma ad un’osservazione più attenta essa è tutt’altro che semplicistica: la rinuncia ad un’estetica sofisticata e ad una tecnica virtuosistica non significa che manchi una scrupolosa ricerca sulla struttura delle composizioni, le proporzioni delle figure, il modo di tracciare le linee… Nulla è lasciato al caso e all’arbitrio personale, poiché i canoni iconografici impongono disciplina e obbedienza. Essi impediscono l’autoreferenzialità, cancro dell’arte contemporanea, in cui l’artista celebra sé stesso attraverso le opere. L’autore si eclissa dietro una tradizione figurativa consolidata, che non è nata dall’ ispirazione dei maestri antichi, ma da prototipi miracolosi e meditazioni teologiche che garantiscono il valore spirituale delle immagini. Infine, la tecnica manuale, quasi artigianale, risulta antitetica ad ogni concettualismo e intellettualismo.

Credo che se molti si avvicinano all’icona, oggi, è perchè vi vedono qualcosa di radicalmente sacro e autenticamente umano.

Altra cosa è l’uso che si fa delle icone. In ciò sta la vera differenza tra il cattolicesimo e l’ortodossia. Pietro de Marco ha colto il nocciolo della questione, poiché esse vengono proposte, esposte nelle chiese non come immagini da venerare, ma come oggetti di godimento estetico, per altro del tutto fuori luogo viste la sovraesposte caratteristiche. Le icone vengono assorbite dalla contemporaneità per quello che non sono.

Se, pertanto, i presupposti sono promettenti, poiché la generazione di artisti e fruitori sta costruendo le basi di un’arte consapevolmente sacra e teologicamente sostenuta, è necessario tuttavia che le icone vengano avvicinate alla preghiera, che entrino nella liturgia, non come un quadro su un cavalletto, ma con gli intenti e i fini che, nei secoli passati, hanno svolto le pale d’altare e le decorazioni murali. Esse esplicitano il culto, supportano la preghiera, rinnovano gli eventi della storia sacra. L’icona deve essere sentita come qualcosa di proprio, cui legare la devozione, veder proiettate le speranze ed espressa la fede. Su ciò bisogna lavorare ancora molto, non solo nell’uso, ma anche nella forma estetica. Nel contesto attuale, è del tutto fuori luogo trapiantare tavole nello stile del ‘500 russo, tant’è che la maggior parte degli iconografi italiani si sta volgendo verso i modelli del medioevo bizantino-romanico, che può facilmente essere visto nelle nostre chiese. Tuttavia, credo bisogna rifuggire da uno stile troppo “secco”, troppo stilizzato, che può risultare straniante per la sensibilià comune. E’ opportuno pensare a un’iconografia contemporanea, che non significa rinnovare soggetti e canoni a piacimento (sarebbe tradirne i fondamenti), ma lavorando sullo stile, andando a ricercare le motivazioni prime dell’arte sacra, i suoi presupposti cristologici, traendo arricchimento anche da tutto ciò che l’arte cattolica ha prodotto nei secoli. Sono cosciente che nessuna arte sacra sarà possibile senza un cambiamento dei presupposti culturali e spirituali, dei quali l’arte è riflesso. Eppure, spesso l’arte è stata anche anticipatrice dei tempi e proprio la diffusione delle icone potrebbe essere un evento catalizzante di tale mutamento, precursore di una riscoperta della dimensione spirituale e religiosa dell’esistenza.