Iperrealismo sacro (?)

In questo bell’articolo (da leggere) dedicato a quella specie in via d’estinzione che è l’artista cattolico, è stata allegata l’immagine di un dipinto della Sacra Famiglia, opera di Aristides Artal.

Nel sito dell’artista si possono trovare altre opere dedicate all’arte sacra, oltre agli altri generi praticati dal pittore. Ci troviamo di fronte a quella che senza dubbio è una mano felicissima, capace di una maestria tecnica che giunge ad un iperrealismo di stampo caravaggesco, di grande effetto.

Quello che non mi convince, in questi dipinti, è la connotazione di “sacro”. E’ sufficiente una portentosa capacità tecnica per giustificare la sacralità di un’opera? Può l’iperrealismo essere sacro?

Nella grande confusione contemporanea, in cui è possibile vedere esposto in una chiesa (moderna ma non solo) ogni sorta di opera e stile, il concetto di sacro ha ormai perso ogni valore e canone.  In tale contesto le opere dell’Artal sarebbero quantomeno di grande pregio artistico, spesso mancante anche in ciò che ci viene proposto, con arrogante spudoratezza, come arte.

Ma arriviamo al punto. Che cosa ha quest’opera, e le altre scene a tema religioso, di sacro? Che cosa la distingue dalle altre opere profane? Solo il chiarore luminoso che emana dalle teste ci ricorda che quelle persone sono santi, ma null’altro ci comunica santità, né le espressioni, piacevolmente colloquiali, né la composizione, che non valorizza nessuna figura in particolare, né i gesti, né l’ambientazione. Se togliessimo l’alone luminoso, retaggio dell’aureola, rimarrebbe una bella scena di falegnameria. E così anche per le altre opere: perché un angelo dovrebbe avere il volto del mio vicino di casa o di una scolaretta?

La mancanza di sacralità di tali dipinti è evidente nel momento in cui si paragonano con le illustrazioni che animano le pagine di “Torre di Guardia” e “Svegliatevi”, celebri periodici distribuiti dai Testimoni di Geova. Nonostante l’orrore che i Testimoni hanno per le immagini sacre (a volte non pronunciano nemmeno il titolo madonna-col-bambino!) ligi come sono al divieto mosaico di farsi idoli, nondimeno non rinunciano a illustrare i loro giornali con disegni e quadri di ispirazione biblica, anch’essi notevoli per la ricostruzione storica e il realismo (sebbene con qualche incongruenza nelle acconciature). Essendo impensabile che queste illustrazioni svolgano un ruolo diverso da quello meramente decorativo (esse esprimono anzi il modo razionalisticamente letterale con cui i Testimoni leggono la Bibbia), colpisce l’estrema somiglianza con le opere di Aristides. Senza voler tacciare lo spagnolo di affinità spirituali con la setta cristiana, questa è, a mio parere, proprio la controprova dell’assoluta mancanza di sacralità di questi dipinti.

Mi viene in mente anche un altro paragone, certamente più nobile: la statua di S.Marco scolpita da Donatello per Orsanmichele a Firenze. Michelangelo la lodò dicendo:”non aver mai visto figura che avesse più aria di uomo da bene di quella”. E certamente anche noi penseremmo di non aver mai visto una famiglia più serena di quella dipinta da Aristides. Ma, appunto, siamo di fronte a persone dabbene, brava gente, ma come tutti gli altri. Ma la santità?  Di certo non m’aspetto che i santi vadano in giro con il cerchio attorno alla testa, tuttavia, chi ne ha incontrato uno sa bene che non sono persone comuni e che hanno qualcosa che va oltre la normalità.

Che cosa, dunque, rende sacra un’opera? Non è semplice dire quali debbano essere le caratteristiche che fanno sì che un’opera d’arte sia sacra, soprattutto per la varietà delle soluzioni che nei secoli sono state adottate. Ciò nonostante l’arte cristiana ha sempre cercato di comunicare quella che è una delle caratteristiche di Dio, e lo ha fatto rinunciando a una rappresentazione troppo aderente al reale, o per lo meno con un occhio sulla realtà tale che nell’opera essa risultasse come trasfigurata. Il fine dell’arte sacra è quello di rendere presente, visibile, il mondo dell’Invisibile, della realtà dello Spirito. Grazie all’Incarnazione del Verbo, tale visione non va ricercata oltre le cose materiali, oltre le apparenze della Creazione, poiché la Redenzione ha raggiunto ogni aspetto del mondo e tutta la realtà umana. Così, è possibile contemplare le realtà spirituali attraverso le cose materiali, le quali si fanno ponte e simbolo verso  il trascendente. Anche l’uomo diventa simbolo, in quanto immagine di Dio, ripristinata dal Salvatore Gesù Cristo. Per questo l’arte cristiana deve essere figurativa e antropomorfa, mentre l’arte astratta nega la realtà dell’Incarnazione. Tuttavia essa non può essere nemmeno esageratamente naturalistica, poichè un approccio fenomenico esclude quella componente trascendente che ne è il Principio.Tale trascendenza deve essere comunicata in qualche modo e uno dei procedimenti è stato quello di adottare, sia nelle figure che nelle composizioni, un simbolismo geometrico e cromatico che si accordasse, al contempo, con una scarsa aderenza della rappresentazione alla realtà fenomenica. L’arte sacra, inoltre, è annuncio del Regno di Dio, e come tale vede anche i fatti storici come irruzione del divino nell’umano, laddove il temporale preannuncia l’eternità. Tutto ciò deve essere visibile, in qualche modo, e essere comunicato con mezzi che evochino la Realtà di Dio quanto più possibile.

Non credo, pertanto, che l’iperrealismo possa mai essere adatto a esprimere la sacralità. La sua componente esclusivamente autoreferenziale, proponendosi come realtà indiscutibilmente vera e certificata, impedisce di andare oltre ciò che si vede e induce la mente a credere che sia proprio così. Lo sguardo rimane impigliato nelle espressioni, nei dettagli, nel virtuosismo, mentre non c’è modo di elevarsi ad alcunché di Altro.