L’estetica medioevale alla luce dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita

Il carattere simbolico dell’arte medievale e la necessità di comunicare messaggi spirituali hanno determinato anche l’aspetto estetico delle immagini, perché fossero adatte ad esprimere tali contenuti.

In alcuni episodi, tuttavia, ci troviamo di fronte a delle assurdità figurative che spesso ci fanno sorridere, come frutto di ingenuità e maldestrìa degli artisti: pregiudizio radicato del Medioevo ignorante e barbaro.

Due casi limite ed esemplari. Sia nel pannello musivo di dedicazione, con l’offerta dell’imperatore Giustiniano, nella chiesa di S.Vitale a Ravenna (VI sec.), come nella grande Crocifissione affrescata da Cimabue nella Basilica superiore di Assisi (fine XIII sec.) si può notare come i personaggi si pestino i piedi. Ci troviamo di fronte a due opere di grande importanza. In entrambe i casi non è possibile pensare a ignoranza e povertà di mezzi da parte degli artisti, poiché alle loro spalle abbiamo committenze altissime, imperiale e papale. Cimabue del resto è noto per essere un dei più grandi pittori italiani del ‘200. E’ curioso notare che tale dettaglio figurativo, che ricorre in molte opere d’arte medievali e bizantine, abbia una longevità tale da poterlo ritrovare all’inizio e alla fine della stessa parabola artistica, grossolanamente denominata “arte medievale”.

Ravenna, chiesa di S.Vitale. Giustiniano e il suo seguito, metà del VI sec. (part.)

Tale sovrapposizione di piedi è una delle possibili incongruenze prospettiche e proporzionali che è possibile incontrare, con facilità, in mosaici, affreschi e miniature. L’arte bizantina e medievale sono caratterizzate dall’astrattezza, piattezza e mancanza di prospettiva, cioè per il loro carattere spiccatamente antinaturalistico, che non rientra però nel simbolismo propriamente detto, benché sia funzionale ad esso.

Lo Pseudo-Dionigi e “L’estetica negativa”

La spiegazione di questa caratteristica, e di tutte le assurdità compositive, la ricercheremo in un testo dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita: La Gerarchia Celeste. I testi di ispirazione neoplatonica dello Pseudo-Dionigi erano noti in occidente già dal IX sec. per il commento fattone dall’Eriugena. Noto soprattutto per la “teologia negativa”, il Padre greco sviluppa nella Gerarchia Celeste anche un “simbolismo negativo”, quello delle somiglianze dissimili. Il simbolismo infatti è il mezzo provvidenziale attraverso cui l’uomo può accedere alla conoscenza di Dio, la quale, essendo inaccessibile e inesprimibile, si adegua tuttavia alla nostra natura limitata permettendo di accostarsi, tramite guide materiali, alla contemplazione dell’immateriale. Due sono i modi simbolici usati dalle Sacre Scritture: o attraverso immagini abbastanza simili, cioè prendendo ciò che esiste di più prezioso, bello, lontano dal materiale, elevato; oppure attraverso raffigurazioni dissimili, inverosimili e assurde: le cose celesti e divine sembrano scadere nella cruda materialità, prendendo forme animalesche e basse.

Tuttavia, come la teologia negativa è migliore dell’affermativa per conoscere Dio, così le somiglianze dissimili sono preferibili, poiché nel caso delle raffigurazioni elevate e preziose è più facile cadere in errore e rimanere ancorati alle immagini, laddove tanto più il simbolo è difforme e assurdo, tanto più ci spinge ad andare oltre la forma materiale per accedere al senso spirituale. Purché interpretate in modo dissimile, anche le cose più vili possono elevarci agli archetipi immateriali. Così, “le cose divine possono essere onorate mediante le vere negazioni e le rappresentazioni dissimili”.

Assisi, basilica di S.Francesco. Cimabue, Crocifissione, fine XIII sec. (part.)

E’ lecito pensare che tale simbolismo negativo sia alla base anche di “un’estetica negativa”, fonte di quelle assurdità compositive di cui sopra parlavamo. L’interpretazione del simbolismo biblico come “dissomiglianza”, da parte dello Pseudo-Dionigi, potrebbe aver determinato il loro particolare aspetto nelle immagini cristiane. La raffigurazione di un oggetto, di un simbolo tende ad assumere un carattere inverosimile proprio per permettere più facilmente di poterlo superare, andando oltre la sua apparenza materica. In questo senso, il rimando dell’immagine, nei suoi elementi singoli e nel suo complesso, ai contenuti che la trascendono, provoca una sorta di negazione manifesta dell’immagine stessa, quasi a rimarcare, anche con espedienti figurativi all’apparenza maldestri, l’assoluta difformità della rappresentazione dal Rappresentato, senza ambiguità. Episodi come il calpestio dei piedi annullano ogni validità e credibilità dell’immagine, la quale non può essere vista in modo autonomo e fine a sé stesso. Una rappresentazione naturalistica non riuscirebbe in tale intento, poiché catturerebbe l’attenzione sul suo carattere fenomenico impedendo di andare oltre l’apparenza. La sua verosimiglianza seduce lo sguardo e lo inganna, portandolo a credere che il rappresentato sia proprio così come lo si vede. Al contrario, la rappresentazione anti-naturalistica nega valore a sé stessa per essere riflesso del divino, perché sia in grado di farci fare il salto verso l’invisibile, ci pungoli con l’assurdità della stilizzazione.

Sia chiaro che la mutazione dell’arte naturalistica dell’ellenismo romano è avvenuta ben prima della nascita dello Pseudo-Dionigi, il quale si dimostra erede di una lunga tradizione neoplatonica di stampo mistico-contemplativo. Proprio il neoplatonismo, assieme alla vastissima diffusione dei culti misterici nell’epoca tardo-antica, hanno innescato il processo di trasformazione dell’arte classica, introducendo quegli elementi di antinaturalismo che vediamo ormai compiutamente sviluppati nella chiesa di S.Vitale a Ravenna, proprio in concomitanza con l’apparizione dei testi del teologo cristiano.

Il carattere antinaturalistico, che si potrebbe riassumere in uno schiacciamento in superficie di ciò che è rappresentato, con tutte le conseguenze che ne derivano, è del resto particolarmente funzionale all’incorporazione dei veri e propri simboli, geometrici, numerici e cromatici, creando un linguaggio di grande coerenza e organicità, soprattutto in vista dei fini prefissati: la contemplazione, l’intuizione dell’Invisibile oltre il visibile. Tutto ciò dà, all’arte medievale, una connotazione spiccatamente sacra che non cessa di affascinare ancora oggi.