Se questa è una Madonna.

Ha destato molto scalpore l’esposizione di una piccola statua, opera di Marco Danielon, di una donna incinta nuda in una cappella di Sezano, nei pressi di Verona, e a buona ragione, visto che, tanto nelle intenzioni dell’artista come dei committenti, la statuetta dovrebbe rappresentare la Madonna.

Senza puntare indici e sputare sentenze, vorrei qui proporre un salutare confronto di quest’opera con un’immagine che, per certi aspetti, tratta un tema analogo: l’icona della Madre di Dio del Segno, assai diffusa nell’iconografia bizantina.

Nella statuetta vediamo una donna al termine della gravidanza che sembra correre, in un movimento che suscita una certa ansia, poiché è evidente lo stato di agitazione, forse di dolore della figura. Sono portato a pensare che stia correndo all’ospedale! L’attribuzione a tale immagine dell’identità di Maria Santissima non migliora le cose, sebbene viri leggermente il senso dell’opera: il bambino che porta in grembo è Gesù e questo movimento dev’essere allora espressione della fretta della Vergine di dare alla luce il Figlio, o della desolazione nel non trovare un posto dove partorire…

Che cosa, però, contraddistingue questa donna come Maria, la Madre di Dio? Che caratteristiche ha la statua per poterla identificare come la Madonna? In un altro ambiente, sarebbe riconoscibile come un’opera di arte sacra? No, nulla aiuta a identificare la scultura come Maria Vergine, né essa ha delle qualità estetiche che comunichino la destinazione sacra dell’immagine. Né dentro né fuori la cappella essa rimanda a Colei che rappresenta. Il tutto prescindendo dalla nudità della figura. In ciò si dimostra come l’attribuire un titolo ad un’opera sia cosa arbitraria e posticcia, poiché la forma non si adegua al contenuto che esprime.

Esaminiamo ora l’icona della Madre di Dio del Segno. Si tratta di una delle più antiche e longeve iconografie della Vergine, risalente al VI-VII secolo, poiché la troviamo già al Sacro Speco di Subiaco e nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma. Maria vi è raffigurata nell’atteggiamento dell’orante, con le braccia aperte, gesto che andrebbe interpretato come espressione della visione diretta di Dio. Completamente avvolta da un manto porpora, colore regale per eccellenza, presenta sul petto un medaglione sospeso, entro il quale è il mezzo busto dell’Emanuele. Il medaglione può essere dorato o di un colore luminoso raggiato di fili d’oro irradiati dal Bambino, oppure presentare una corona di stelle su vari toni di blu, a simbolo dell’universo intero. Gesù si presenta non come un bambino qualunque, ma vestito d’oro, benedicente e con un rotolo in mano: egli è il Logos, il sempre-giovane perché eterno Verbo di Dio. Egli, che i cieli non possono contenere, è contenuto all’interno della sagoma di Maria, a prefigurazione della sua futura gravidanza. Per questo Ella è chiamata Platytera, la più grande dei cieli, e non solo: Lei è il Segno concesso dal Signore. “La Vergine concepirà e partorirà un figlio, che sarà chiamato Emanuele, Dio con noi”. La sua perpetua verginità è espressa dalle tre stelle ricamate sul manto. In questa immagine viene esposta in modo sintetico l’Incarnazione del Verbo attraverso la concezione virginale di Maria, che diventa pertanto Madre di Dio. Mi sembra ci sia un po’ più del semplice tema della maternità. Accennerei anche al valore spirituale di tale immagine, emblema dell’anima purificata che, fecondata dalla Parola di Dio, vede crescere dentro di sé la presenza di Gesù.

Ora, anche senza conoscere i profondi rimandi a simboli e Scritture,  l’icona rimane tale a prescindere dal luogo in cui viene esposta. Essa ha un’estetica che  ne fa una palese immagine sacra, in virtù dell’uso della frontalità, dell’antinaturalismo, dell’oro, delle aureole, di tutte quelle caratteristiche che rendono riconoscibilissima un’icona. Il suo linguaggio è stato elaborato proprio perchè diventi quasi istintivo il riconoscere in essa delle figure sacre, e fra queste,  il distinguere Gesù dal Battista, la Madre di Dio da S.Anna.

Ora, in virtù di tale confronto, ha ancora un senso considerare la statua come opera d’arte sacra? Che spessore teologico può vantare di fronte alla sintetica densità dogmatica dell’icona? Che cosa riesce a mostrare del ruolo di Maria nell’economia della salvezza, delle Sua anima immacolata, della Sua altissima dignità di creatura deificata? Che cosa ispira la devozione, la preghiera, il filiale affidarsi alla sua materna protezione? Ciò che è in gioco è la concezione stessa dell’arte sacra, della quale parlerò in altro articolo.