Tradizione e Innovazione.

Dopo due articoli in cui compio una critica a forme diverse dell’arte sacra contemporanea, è giusto che analizzi anche dei fenomeni positivi. Sarà difficile riuscire a mantenere un equilibrio fra la pars destruens e quella costruens, per lo meno nell’ambito dell’attualità artistica. Sento davvero il dovere di denunciare, almeno a parole, le brutture cui continuamente siamo sottoposti e cui non bisogna mai assuefarsi, brutture che in un contesto sacro, ecclesiastico, che dovrebbe parlare solo il linguaggio della bellezza più spirituale, diventano causa di rabbia, disgusto e sconforto. E’ ora di dire che “il re è nudo”.

Ma veniamo a cose migliori. E’ stato lodato in questo articolo il crocefisso che Giuliano Vangi ha realizzato nell’ambito del nuovo presbiterio del Duomo di Padova, inaugurato nel 1997. Non vorrei addentrarmi, per il momento, dell’opportunità, o meno, di tali “adeguamenti liturgici”, né sulla riuscita del suddetto intervento nell’ambito di un edificio storico. Vorrei soffermarmi sull’opera in sé.

Nonostante le libertà espressive che spesso lo scultore si prende, nella sua personalissima ricerca espressiva, rinchiudendo talvolta le figure in forme solide chiuse, rigide (in parte anche nel contesto padovano) in questo caso egli realizza un Crocefisso, senza mezzi termini. Non cede alla lusinga di creare un’opera che esca fuori dagli schemi, eppure riesce a rinnovare il tema della croce pur conservando forme del tutto naturali e inspirandosi anche all’antica iconografia medievale del Cristus Triumphans. Intendo dire che, dopo aver visto, sul tema del crocefisso, ogni sorta di “interpretazione”, l’ultima delle quali ci è stata data da Pomodoro nella chiesa di Renzo Piano, vedere un uomo intero su una croce fa notizia. Colpisce anche l’aver rinunciato al tema della sofferenza per modellare un Cristo glorioso, d’oro, un risorto, vivo di energia data dal movimento in avanti della figura, che si protende verso la navata. E’ anche il Cristo nella sua seconda venuta, nel suo corpo glorioso, con lo sguardo potente e penetrante dai grandi occhi aperti. Eppure Vangi non scolpisce un atleta o un modello, ma un uomo comune, senza concessioni a una bellezza fisica fine a sé stessa. Tutta la forza, la capacità d’espressione la riserva ai materiali usati, ai metalli, capaci di trasfigurare le forme oltre la pesantezza materiale, animati dalla luce. In ciò, non è lontano al Crocifisso del Duomo di Vercelli e, nello sguardo,  a immagini come la Santa Fede di Conques. Non ho dubbi che talune opere medievali siano state d’ispirazione per l’artista. Anche la croce blu è cosa comune nelle croci sagomate del ‘200 toscano. Eppure nessuno metterebbe in discussione la modernità e l’originalità del risultato, che senza tradire lo stile proprio dell’autore, appare in ogni caso un’opera capace di fondere tradizione e innovazione, oltre a un ricco contenuto teologico, il che è il massimo che si possa desiderare.