Icona e Vangelo

Spesso capita di sentirmi chiedere quale sia la distinzione fra un’icona e un dipinto a soggetto religioso. Una Madonna di Duccio, così simile alle coeve tavole greche, può essere considerato un’icona? Esiste un limite preciso che separa un’icona da ciò che non lo è? Perchè un dipinto del Beato Angelico non è un’icona? Altre volte mi si chiede perchè non riproduco le celebri Madonne rinascimentali e barocche, dedicandomi, al contrario, a una tradizione artistica che è tangente, ma non propriamente italiana e cattolica.

La questione andrebbe affrontata almeno sui due binari dell’estetica e della funzione svolta dalle immagini, ma preferirei piuttosto parlare di uno dei princìpi fondanti l’arte dell’iconografia. A tal riguardo mi avvalgo delle celeberrime parole di papa Gregorio Magno, le quali indicano l’arte sacra come “Biblia pauperum“. A lungo, troppo a lungo, la si è considerata come la definizione di un’arte intesa come surrogato per analfabeti. La qual cosa non spiega affatto la massiccia produzione di codici miniati a uso privato delle classi più abbienti e colte. In verità, sebbene sia palese che le immagini non hanno svolto in Europa lo stesso ruolo che ancora oggi hanno nell’ortodossia, secondo una recente rilettura della Lettera a Sereno, vescovo di Marsiglia, scevra da romanticismi, risulterebbe un’equiparazione della pittura nientemeno che alle Sacre Scritture. L’accento non va posto su pauperum ma su Biblia! Ciò che essa dice con le parole, l’arte lo esprime con i colori, anzi, in essa vengono esplicitati i molteplici modi con cui essa veniva interpretata.

Lo stesso argomento lo si ritrova negli atti del Concilio di Nicea II (787) laddove viene ripresa l’analogia fra i Sacri Testi e la pittura delle immagini. Ora, sappiamo bene che non tutti i testi a soggetto religioso sono considerati sacri: le Scritture si distinguono per la loro divina ispirazione che le rende indefettibili. Porre le immagini come equivalenti delle parole scritte significa assegnare anche a loro uno status di ispirazione divina, che le pone al di fuori della comune attività artistica. Si tratta di un’ispirazione che trascende ampiamente l’individuo che la realizza materialmente. L’icona è di origine divina. Non a caso la tradizione ci comunica che le prime icone della Vergine furono realizzate da S.Luca, proprio un evangelista, a ribadire la stretta parentela fra parola e immagine. La vera effigie di Gesù, invece, si sarebbe conservata impressa nel velo del Mandylion, della Veronica o della Sindone, a seconda delle varie storie legate alle differenti reliquie. In ogni caso si tratta di immagini miracolose, acheropite, straordinariemante prodotte. Esse testimoniano di un rapporto dell’icona con la storia e il contenuto del Vangelo che non è semplicemente illustrativo e didascalico, ma ne è il corrispettivo visivo. L’immagine entra a pieno titolo nell’opera di salvezza.

Azzarderei anche un altro paragone: allo stesso modo in cui il Vangelo viene cantato nella liturgia, così le icone vengono esposte in chiesa, quasi a reciproca conferma. Da ciò derivano due conseguenze importanti:

-l’invariabilità delle immagini. Nell’arte bizantina, considerata immobile e ripetitiva per antonomasia, la creatività in senso moderno è bandita. Cambiare le immagini per puro arbitrio personale sarebbe come cambiare la lettera e il senso delle Scritture, dalle quali nè un apice nè uno iota andrebbe tolto o modificato. Così, vedendo una bella tavola di Duccio o di Giotto, appare evidente che essa non corrisponde a nessuno dei tipi iconografici bizantini, pur nella somiglianza generale.  Ci si deve chiedere da dove vengano tali variazioni. Si tratta di libere interpretazioni dell’artista o di richieste da parte dei committenti? Racchiudono un significato particolare o è solo un vezzo di originalità? Nel periodo rinascimentale e barocco l’iniziativa dell’artista prende il sopravvento e sarà impossibile definire un qualsiasi canone figurativo.  Riallacciandosi al paragone letterario, sappiamo che grandi santi, dottori e padri della Chiesa hanno scritto opere importantissime, vi sono altresì splendide opere di spiritualità e mistica, ma nessuna di esse è entrata nel canone delle Scritture nè nel repertorio liturgico. Così, tutti gli splendidi dipinti dell’arte italiana ed europea esprimono vette sublimi della fede e della bellezza, ma nessuna di esse può essere equiparata al Vangelo in senso stretto, nessuna di esse è divinamente ispirata. Allo stesso modo, la fantasia artistica applicata al Sacro rischia di personalizzare l’esperienza religiosa scardinandola dal contesto ecclesiale, introduce un elemento soggettivo che riduce la portata universale de Vangelo, innesta un’arbitrarietà che può essere anche fuorviante e non corretta.

– il ruolo dell’iconografo. Spesso si sentono luoghi comuni sui pittori di icone, soggetti a pratiche ascetiche di digiuno e preghiera, fino a dipingere in ginocchio! Questa mitizzazione della figura dell’iconografo non solo crea folklore, ma enfatizza l’idea dell’artista ispirato, quasi fosse la controparte cristiana del genio avanguardista. Con ciò non intendo minimamente scaricare gli iconografi (e me stesso) dal dovere di responsabilità verso ciò che fanno, tutt’altro. Ma è importante sottolineare che il canone iconografico, debitamente applicato, scavalca di gran lunga l’individualità dell’artista che lo usa. Esso, infatti, non è stato creato da un singolo artista nè da una scuola, ma è il frutto della liturgia e della preghiera della Chiesa. Nel corso di cinque secoli essa ha elaborato un codice figurativo che esprimesse appieno la sua fede in Cristo. Per questo vengono considerati veri iconografi i Padri della Chiesa e non i pittori, i quali ne sono i semplici esecutori.

L’iconografo è come il diacono che canta il Vangelo durante la Messa: La sua voce può essere più o meno intonata o melodiosa, ma il valore del Testo rimane inalterato. Anche la vita spirituale del diacono è ininfluente rispetto al ruolo liturgico che esso svolge in quel momento: essere lo strumento attraverso cui il Vangelo viene proclamato. Analogamente, benchè ci si aspetti che tutta la vita degli artisti si conformi a ciò che dipingono, le regole dell’iconografia fanno sì che il risultato sia conforme a Verità, indipendentemente dalle disposizioni interiori o dal talento personale.