SENZA VOLTO

“Il volto esprime la nostra autenticità

Anzitutto c’è al sua esposizione diretta, senza difesa, nella quale appare la sua nudità dignitosa.

Il volto inizia e rende possibile ogni discorso ed è il presupposto di tutte le relazioni umane.”

Lorella Zanardo “Il corpo delle donne”

Una citazione così forte, tratta da un documentario imperdibile per chi abbia a cuore la propria dignità, mi è sembrata adatta a intavolare qualche riflessione sul ruolo del volto nell’arte sacra contemporanea.

E’ evidente a tutti che il volto ha un’importanza centrale nelle relazioni umane: perfino negli strumenti che permettevano una cieca conversazione a distanza è sembrato logico giungere al videotelefono e alla webcam, per potersi vedere in faccia. Istintivamente, diffidiamo delle persone che non ricambiano lo sguardo, non ci guardano in viso, ed è considerato atto di maleducazione se non di aperta ostilità il voltafaccia. Il volto è il centro rivelatore di tutto il nostro essere e, più ancora del corpo, è la carta della nostra identità più vera.

La capacità sintetica di tutto l’essere umano, che il volto esprime, era stata fortemente sentita dal mondo ellenistico romano attraverso il genere del ritratto, come testa autonoma scolpita su un basamento. Un’invenzione sconosciuta al mondo greco antico, che concepiva la figura solo come un corpo intero. Il ritratto ha nella società romana un ruolo di memoria fortissimo. Se la “damnatio memoriae” prevedeva la distruzione sistematica di tutte le immagini di colui che si voleva dimenticare, il ricordo degli avi veniva rafforzato dall’uso di maschere di cera che, in particolari cerimonie, venivano indossate dai discendenti, quasi a far rivivere i loro antenati, attraverso il loro viso.

Anche in una religione fortemente aniconica come l’ebraismo il volto assume un ruolo rilevante. Il Volto, quello di Dio, è tema di una ricerca costante nell’Antico Testamento. Lo troviamo evocato nei salmi, desiderato, atteso, sospirato, ma non sappiamo come sia fatto. Nonostante gli elementi antropomorfi di IHWH (mani, braccia,…), Egli rimane sempre qualcosa di misterioso e trascendente. Anche a Mosè, che più di ogni altro ebbe una vera intimità con l’Altissimo, fu negata la possibilità di guardare in faccia il Signore e dovette accontentarsi di vederne il dorso.

“Dio, nessuno lo ha mai visto. Il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18)

Con tale affermazione, Giovanni pone la cesura fra l’Antica e la Nuova Alleanza, dando compimento a una sì lunga attesa. Con Gesù, Dio ha assunto un volto umano. Il mistero ineffabile dell’Incarnazione del Verbo ha fatto sì che la divinità fosse circoscritta nella carne umana, ridonando all’uomo quella dignità e quell’integrità che era propria alla sua natura prima del peccato. Nell’Incarnazione del Verbo, l’uomo appare come immagine perfetta di Dio, e il suo volto è specchio assoluto dell’inesauribile divinità.

Non vorrei qui soffermarmi a analizzare il volto che, di volta in volta, è stato abbinato al Dio fatto uomo. Molti hanno la pretesa di essere l’autentico sembiante di Gesù, altri sono volutamente frutto della propria visione interiore. Ognuno è rivelatore di una particolare concezione dell’uomo e di Dio.

Quello che mi preme sottolineare qui, è l’inquietante assenza del volto in certe opere di arte sacra contemporanea. Non ricordo esemplari di singole immagini del Cristo, ma non sono infrequenti quelle della Madonna col Bambino, di cui riporto un caso paradigmatico.

Se in psicanalisi la rappresentazione, o meno, di taluni elementi anatomici ha uno specifico significato, nel contesto dell’arte sacra credo possa assumere un interessante valore teologico-spirituale.

Negare un volto all’individuo sottolinea, innanzi tutto, una totale incapacità di relazionarsi ad esso. Gli viene tolta la capacità di comunicare qualcosa, attraverso lo sguardo e l’espressione. Un ovale vuoto è la non presenza dell’individuo-soggetto, più simile alle sagome umane dei segnali stradali e delle toilettes che ad un’organica rappresentazione dell’uomo. Esso perde la sua identità e unicità per diventare una sagoma vuota, un fantoccio che dell’uomo è mancante della sua parte più essenziale. Non credo di azzardare pensando che tale assenza di un “io”, di un soggetto identitario, sia specchio di un’assenza dell’artista, perché è lui che nega un volto a Colui che un volto ha voluto assumere. Si tratta di un’incapacità relazionale che ricade sull’artista, il quale esprime così la propria cecità, il suo mutismo, la sordità nei confronti di Chi non riesce a conoscere. L’immagine di un Dio senza volto è emblema di un coma spirituale, se non di un agnosticismo superficiale. La modernità non giustifica in alcun modo una simile scelta, poiché Gauguin, Rouault e altri hanno saputo dare un volto al Dio incarnato, senza per questo essere meno moderni.

La decorazione murale di Matisse per la cappella di Vence (1948-51) presenta la sua Madonna come un contorno di sagome. Mi chiedo non solo che testimonianza dell’Incarnazione del Verbo possa costituire una simile immagine, ma anche che tipo di devozione essa possa suscitare, quale preghiera ispirare, che tipo di rapporto o di pensiero possa mediare.

Altrove si son viste figure addirittura decapitate (ma non prive dei genitali…un bel caso clinico!)

Se l’immagine sacra ha anche la funzione di stabilire un dialogo fra il fedele e il Rappresentato, e se in particolare l’immagine cristiana ha il dovere di ribadire l’Incarnazione storica del Logos, essa ha come necessità assoluta quella di presentare un volto e, di conseguenza, essere figurativa e antropomorfa. Il realismo cristiano non significa naturalismo: esso cerca piuttosto di rappresentare con completezza un mondo sostanziato dallo Spirito, trasfigurato nella Grazia. Non è cancellando il volto che l’immagine diventa più “diafana”, più “trasparente” nel comunicare il divino. Si tratta solo di un’apparente scorciatoia che si rivela un vicolo cieco, teologicamente e spiritualmente agli antipodi di una fede sana e integra.