Una cattedrale, due opere a confronto (prima parte)

Terni, cattedrale. Animato da grande amore per l’arte contemporanea e da una forte fiducia nel suo utilizzo nel contesto liturgico, Don Fabio Leonardis, già direttore dell’ufficio dei Beni Culturali della diocesi, ha lasciato, prima della sua prematura scomparsa, avvenuta nel 2007, due grandi opere nel Duomo della città. La prima riguarda la decorazione della controfacciata con un enorme dipinto, commissionato a Ricardo Cinalli, raffigurante la “Pesca mistica”. La seconda investe le pareti di una cappella dedicata a Maria Madre della Chiesa, affidate a due coniugi russi, Valeriy Chernoritskiy e  Anastasia Sokolova. Il confronto fra le due opere è senz’altro stimolante, per comprendere i moventi e i fini della committenza ecclesiastica contemporanea.

Del lungo articolo di presentazione del murale di Cinalli, redatto dallo stesso Don Fabio, riporto soltalto la parte finale:

L’arte di Cinalli nella cattedrale di Terni è un invito forte che il Risorto fa all’uomo contemporaneo, un invito a risorgere con Lui nel Suo oggi, un invito che arriva fin nelle viscere di chi osserva quest’opera costringendolo a sciogliersi di fronte al suo amore che salva.

A personale commento dell’opera, e della sua impalcatura teorica, ritengo che essa sia erede della lunga tradizione occidentale dell’arte sacra, non per le sue citazioni rinascimentali, ma per la funzione didattico-catechetica. Siamo di fronte non ad un’illustrazione di un passo evangelico, nemmeno ad una scena teofanica, si tratta piuttosto di una allegoria, di un’opera (tutto sommato moraleggiante) che, a differenza del simbolo, costruisce a tavolino i significati e i modi per rappresentarli. Qualcosa di più simile alla “Primavera” di Botticelli che al Giudizio Universale di Michelangelo. Nel Giudizio, infatti, abbiamo una visione dell’Ultimo giorno che non solo rispetta una lunga tradizione iconografica,  ma è aderente anche alle Scritture; nella Primavera, la scelta dei personaggi è giocata sui complessi rimandi, legati alla fertilità e all’amore, della complessa cultura neoplatonca della corte dei Medici, e ha il sapore di un rebus.

Nei tempi presenti, tale funzione allegorico-didattica ha assunto un ulteriore carattere provocatorio che non si limita a esporre i contenuti della fede o i doveri e le aspirazioni del fedele, ma lo fa urtando le coscienze, scuotendole con ogni mezzo, sia esso il desacralizzante, il brutto, il deforme, sfruttando con ciò analoghe correnti dell’arte d’avanguardia. Di certo il murale ha la sua efficacia e il suo impatto traumatico. Ha il peso di una presa di coscienza dolorosa. Ma, pur così convincente nella denuncia dei mali contemporanei, non lo è altrettanto  nella controparte della bellezza salvifica, ovvero negli angeli (pelati senza che venga spiegato il perchè e anche un po’ sproporzionati, insomma, tutt’altro che angelici) e nella Gerusalemme celeste che presenta anche dei minareti (?!?!). La sensazione di malessere che si prova a vedere il dipinto non viene in alcun modo rinfrancata da una speranza percepibile di redenzione, che finire intrappolato in una rete, per quanto mistica, non sembra poi così allettante.Non è certo un dipinto in cui rimarere rapiti in contemplazione, anzi…da esso trapela una forza carnale e selvaggia che, più che portare a immedesimarsi nelle figure, ci fa prendere le distanze da esse.

Aleggia poi il sottofondo di un relativismo religioso molto ambiguo, con la compresenza di uomini di religioni diverse che possono salvarsi attraverso un’indistinta fratellanza. In ciò non è del tutto chiaro quale sarebbe il ruolo del Risorto, oltre a quello di annunciare un messaggio che va bene per tutti, non diverso da “Libertè, egalitè, fraternitè”.

L’esposizione e il  confronto con l’altra opera, presente nella stessa cattedrale, sarà ancora più esaustivo.